I fatti di Parigi della scorsa settimana hanno messo in evidenza, fra le altre cose, la presenza in Francia - e più in generale in Europa - di una larghissima comunità islamica, che in alcuni casi non è integrata nel Paese in cui vive.
Le banlieue di Parigi, dove risiedono parte dei 6 milioni di francesi di fede islamica, ne sono un esempio. Sicuramente la non-integrazione riguarda una parte minoritaria dei 30 milioni di musulmani attualmente residenti in Europa, e le manifestazioni di ieri nelle città italiane «Not in my Name» contro il terrorismo ne sono un'eloquente testimonianza.
È un dato però che va tenuto presente in ogni analisi sull'Europa, e la sua evoluzione futura, il fatto che la comunità musulmana qui è in forte crescita, e soprattutto ha un tasso demografico molto più alto del resto della popolazione.
Secondo il Pew Research Center di Washington, la popolazione musulmana in Europa è destinata a raddoppiare nel giro dei prossimi quindici anni, arrivando a 58 milioni stimati nel 2030. Ciò è dovuto sicuramente all'immigrazione, che in buona parte sopperisce al calo demografico degli europei e al bisogno di forza lavoro della vecchia Europa. Ma è dovuto anche al diverso tasso demografico della comunità musulmana, che è di gran lunga superiore a quello dei non musulmani. I primi crescono dell'1,6% tra il 2010 e il 2020, i secondi calano dello 0,1% nello stesso periodo; e caleranno dello 0,2% nel decennio successivo.
La crescita più robusta degli islamici, secondo il famoso centro di ricerca americano, riguarderà l'Europa occidentale: Regno Unito, Francia, Germania, ma soprattutto l'Italia.
Il tasso di fertilità delle donne musulmane in Europa è di 2,2 figli, contro l'1,5 delle non musulmane (in Italia 1,4). Le dinamiche demografiche, insomma, stanno trasformando profondamente l'Europa.
Ora, di questa redistribuzione della popolazione in Europa non può essere certo incolpata la comunità islamica. Semmai il contrario: sono gli europei che non fanno più figli. Questo per varie ragioni, tra cui quella prioritaria è di tipo culturale, perché mettere al mondo figli richiede sacrifici in termini non solo economici ma di energie, tempo libero, disponibilità. E gli europei - in particolar modo gli italiani e i tedeschi - non sono in larga parte più disponibili a farli.
Di questo bisogna essere consapevoli prima di stigmatizzare l'arrivo di immigrati (per lo più musulmani) che giungono a compensare il calo demografico e delle forze lavoro della vecchia Europa. Come pure va tenuto presente che - come ormai gli studi dimostrano - c'è un legame diretto fra andamento della natalità e andamento dell'economia. Ossia i Paesi demograficamente in crescita, crescono anche dal punto di vista economico. Chi subisce il calo demografico, registra anche il declino economico.
Il caso recente della Cina è emblematico. Dopo 35 anni di imposizione del figlio unico da parte dello Stato (che ha comportato milioni di sterilizzazioni e aborti forzati, e uno sbilanciamento del rapporto uomo-donna di 118 a 100, con conseguenti enormi problemi a trovare moglie), il partito comunista ha fatto marcia indietro.
Ora la parola d'ordine in Cina è: fare figli. Più che per motivi etici e di rispetto umano (a cominciare dal rispetto della donna), la decisione di Pechino è frutto di un calcolo economico: o la Cina raggiunge almeno il tasso di fecondità di sostituzione (2,1 figli per donna), o nei prossimi anni si registrerà un vuoto di forza lavoro, con conseguente pesante calo del Pil e della crescita. Inoltre si sta creando in Cina una massa di milioni di anziani, che non hanno un figlio che li può accudire, e che rischiano l'indigenza e l'abbandono. Oltre a tensioni generazionali enormi.
Un fenomeno di questo tipo si sta registrando in Germania, dove il tasso demografico è inferiore all'1,4 per coppia, insufficiente a garantire il mantenimento della popolazione tedesca, tanto che è previsto si ridurrà di un quinto da qui al 2060. Già nei prossimi cinque anni si prevede un fabbisogno in Germania di 1,8 milioni di lavoratori qualificati, che per forza di cose verranno compensati con l'arrivo di immigrati.
Stessa cosa sta avvenendo in Italia dove ormai le nascite sono al minimo storico dall'Unità d'Italia (509 mila bambini l'anno, di cui una buona parte figli di stranieri), inferiori al numero dei morti (che sono 600.000 l'anno). Questo vuol dire crescita esponenziale degli anziani, riduzione continua dei giovani, aumento degli immigrati, ridefinizione etnico-religioso-culturale della popolazione italiana.
La questione demografica, quindi, è una questione centrale dell'Italia (e dell'Europa) di oggi. E il fatto che gli italiani, rispetto alle altre nazioni del mondo (dagli Stati Uniti ai paesi del Golfo, dalla Nigeria al Sud Est asiatico) non vogliono più fare figli, è la dimostrazione di una nazione che non sa guardare al futuro, ma è ripiegata su se stessa, che affida agli immigrati il pagamento delle pensioni future, l'accudimento degli anziani, la copertura di posti di lavoro che nessuno vuol fare. In sostanza il proseguimento della specie.
Lanciare allarmi perché la popolazione immigrata raggiunge ormai il 10% della popolazione complessiva, e i musulmani stanno crescendo in maniera esponenziale, è un non-sense se si continua a non fare figli. Ed è una questione culturale, oltre che economica. Richiede cioè un cambio di mentalità e la presa di coscienza da parte degli italiani che la stessa cultura italiana, i valori, i gusti, la creatività, i riferimenti che la sostengono, andranno per forza di cose a modificarsi (e forse anche a venir meno), con il trasformarsi della popolazione.
Probabilmente richiede interventi legislativi forti a sostegno della famiglia e della maternità, dimensione sociale importantissima ma faticosa e disconosciuta nel suo valore, soprattutto nella fatica di allevare figli. E richiede anche modifiche di legislazioni datate, a cominciare da quella sul divorzio e sui diritti patrimoniali della coppia, che ha portato alla scomparsa di fatto del matrimonio a favore della convivenza, per avere meno vincoli in caso di separazione. Oggi infatti, con la normativa vigente, il matrimonio non è più percepito come un elemento di garanzia e di stabilità alla coppia e alla prole che ne nasce, ma una gabbia che in caso di crisi del matrimonio degenera in una forma di ingiustizia e di accanimento a scapito di uno dei due ex coniugi (quello che deve pagare un assegno assistenziale a tempo indeterminato, anche in condizioni economiche mutate, e non una semplice equa compensazione per i sacrifici eventualmente fatti durante la permanenza del matrimonio).
Oggi la crisi demografica dell'Italia (e di buona parte dell'Europa) costituisce un'ipoteca pesantissima sul proprio futuro, e implica se non affrontata, la consapevolezza che in futuro non esisterà più per forza di cose l'Italia come l'abbiamo intesa noi finora (anche dal punto di vista etnico-culturale), ma sarà un'altra cosa, con un'altra popolazione, un'altra cultura, probabilmente anche un'altra religione. Ma di questo non potremo incolpare di certo i musulmani.
↧
L'Italia scompare senza più figli
↧