Renzo Anderle amava i cavalli, una passione nata da bambino - raccontava - quando a tre quattro anni si era avvicinato al primo cavallo, da tiro, che il padre si faceva prestare per portare sul carro i frutti del lavoro in campagna.
Era un animale enorme, per un bambino, ma Renzo non aveva paura. Ne era invece attratto, incuriosito, affascinato.
Il tutto in un insieme di emozioni bellissime, che chi ama i cavalli conosce, che non l’avrebbero più lasciato, sebbene allora non vi furono per lui le condizioni per esplorare oltre la relazione con questi animali
Dovette attendere molto tempo per ritrovarli. Prima gli studi, l’università lontano da casa, la famiglia, il lavoro.
Ma Renzo non aveva mai dimenticato quel grande cavallo che tirava il carro. E verso i quarant’anni decise che era arrivato il momento e prese le prime lezioni vere di equitazione.
Da lì gli si aprì un mondo, che non avrebbe più lasciato. Comprò il primo docile cavallo, che ancora ricordava con affetto e rimpianto per averlo venduto troppo presto per un altro più nevrile. E poi altri cavalli ancora, fino ad oggi. Ha sempre avuto un compagno accanto, anzi due cavalli, avendo la fortuna di poter condividere la stessa passione con la moglie Roberta. Erano inseparabili nella vita e nelle passeggiate a cavallo. Renzo non amava infatti i trekking affollati con tanti cavalieri, preferiva le passeggiate tranquille, lui e Roberta, con i due cavalli, Crio e Rubio, anche loro ormai inseparabili, imbrancati come si dice in gergo.
Aveva deciso di occuparsi personalmente dei suoi cavalli, pur con l’impegno gravoso che questo comporta; e aveva costruito una piccola scuderia vicino a casa, con paddock e giostra. Uno spazio riservato ai due cavalli che curava benissimo, pulito e in ordine. Sempre. Con il fieno profumato e tutti i giorni le mele come premio. Perché Renzo Anderle i cavalli non solo li amava, ma li rispettava.
Tanto da lasciare senza parole persino il commerciante che qualche mese fa gli portò a casa il suo ultimo cavallo, il criollo Crio, stupendo, che all’anagrafe si chiamava Fuego, ma lui gli cambiò subito il nome.
Renzo Anderle era infatti un mite e Fuego era un nome che non gli piaceva.
Mite e pacato. È vero, così lo ricorda chi ha conosciuto Renzo Anderle. Ma questo non vuol dire che non fosse deciso e determinato. Anche rigoroso e severo, quando serviva, nel difendere le sue idee. Lo era nei suoi rapporti con gli altri e nella vita pubblica, quando fu impegnato come amministratore e politico.
Ai cavalli non puoi mentire. Loro sentono quello che provi e quello che sei. E Renzo si faceva rispettare dai suoi cavalli, come lui sapeva rispettarli. Questo rapporto straordinario ero lo specchio autentico della sua umanità, perché era una persona che non aveva bisogno di urlare per affermare il suo pensiero e la sua autorevolezza.
Nella sua casa tutto parla di cavalli, la collezione di selle d’epoca e di staffe e morsi acquistati nei mercatini, ritratti, sculture e quel disegno, una testa di cavallo meravigliosa, che aveva realizzato personalmente e di cui era orgoglioso. Aveva ancora tanti progetti, si illuminava quando si parlava di cavalli ed era felice di poter dare consigli.
Se n’è andato troppo in fretta e troppo presto.
Addio Renzo, l’uomo che amava i cavalli.